Una storia semplice
Adelphi, 1990
66 pagine
Il magistrato scoppiò a ridere. “L'italiano: ero piuttosto debole in italiano. Ma, come vede, non è poi stato un gran guaio: sono qui, procuratore della Repubblica...”
“L'italiano non è l'italiano: è il ragionare” disse il professore. “Con meno italiano, lei sarebbe forse ancora più in alto.”
La battuta era feroce. Il magistrato impallidì. E passò a un duro interrogatorio.
“L'italiano non è l'italiano: è il ragionare” disse il professore. “Con meno italiano, lei sarebbe forse ancora più in alto.”
La battuta era feroce. Il magistrato impallidì. E passò a un duro interrogatorio.
Sabato 18 marzo, ore 9.37 della sera, vigilia di San Giuseppe e della festa che il paese dedica al santo falegname. Squilla il telefono della stazione di polizia. E' il signor Giorgio Roccella, un diplomatico in pensione che torna in Italia dopo quindici anni. Richiede di poter parlare con il questore o il commissario. Visto il delicato momento, l'ora e la festività del giorno seguente, è il brigadiere che prende nota e riceve la chiamata. Sarà lui, il giorno seguente, a scoprire, nel villino indicatogli, il cadavere di Roccella riverso su una scrivania con affianco un foglio con una frase scritta: «Ho trovato». Inizia così una storia che, a discapito del titolo, è tutt'altro che semplice. E', infatti, un intrigo complicatissimo dall'intreccio aggrovigliato e dallo scorrere veloce degli eventi che non lasciano neppure al lettore il tempo di riflettere. La successione dei fatti, il ruolo dei personaggi, le loro decisioni ed idee in merito alla morte del diplomatico rendono ambigue e confuse tutte le ipotesi per la risoluzione del caso. Il giovane brigadiere, l'unico che sembra interessato alla realtà dei fatti, alla verità, scoprirà che non tutto è mai come sembra. In questo breve racconto, Sciascia, mette in risalto il valore della giustizia e la gestione del potere in una Sicilia bacata e corrotta dalla mafia e dai suoi sporchi traffici.
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