I campi di lavoro nordcoreani, tuttora funzionanti, esistono da un periodo di tempo doppio rispetto ai gulag sovietici e dodici volte superiore rispetto ai campi di concentramento nazisti. Sulla loro collocazione geografica non ci sono dubbi […] secondo le stime del governo sudcoreano sarebbero circa centocinquantamila i prigionieri rinchiusi nei campi… 
 
Tanta è la letteratura che racconta le vicissitudini dei deportati nei campi nazisti, dei rifugiati politici, dei soldati in guerra; qui però è tutto diverso perché non è nel passato che si svolge il racconto, terribile, angosciante, purtroppo reale, ma è nell'oggi. 
Shin Dong-hyuk è nato nel 1982 in un campo di prigionia nordcoreano, ha vissuto gran parte della sua vita convinto di meritarsi la reclusione, convinto che la prigionia fosse necessaria per debellare il nemico dello Stato. Fin da piccolissimo ha subito ogni tipo di tortura psicologica ma soprattutto fisica, ha visto decine e decine di ragazzi, donne, vecchi, uomini e bambini morire per cause “naturali”, ha provocato la morte della madre, convinto che fare la spia fosse legittimo e necessario. Ha mangiato topi e rane, ha vissuto con gli stessi vestiti per anni, senza biancheria intima. Non aveva accesso all'acqua, né per bere né per lavarsi; non gli era permesso avere amici, confidenti, rapporti o relazioni se non quelle con i capi per favorire la delazione di altri compagni.
Da questo clima di oppressione riuscirà miracolosamente a scappare nel 2002, forse unico caso nella storia, impiegando quasi due anni per raggiungere gli Stati Uniti. 

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